"Francesco Bussone"

detto

"Il Carmagnola"

La vita

Nato da umile famiglia a Carmagnola, si arruolò nell'esercito di Facino Cane sotto cui servì fino al 1412.
Nello stesso anno si arruolò al servizio di Filippo Maria Visconti, per cui divenne generalis capitaneus (capitano generale) nel 1416.
In una serie di campagne pressoché ininterrotta dal 1412 al 1422 il Carmagnola eliminò e scacciò i signori che dominavano le città lombarde (Monza, Lodi, Bergamo, Cremona, Brescia e la famosa vittoria di Arbedo contro gli Svizzeri del 30 giugno 1422) e restaurò l'autorità del Visconti sull'intera regione.
Sia grazie alla crescita del suo potere sia all'interno della corte viscontea sia grazie all'ampiamento dei suoi possessi territoriali, Filippo Maria entrò in sospetto del Carmagnola, poiché un tale personaggio di spicco minava la stabilità del suo potere sul ducato lombardo.
Dopo il sospetto annullamento di una spedizione in Puglia, alla cui testa sarebbe dovuto esserci Francesco, nel novembre del 1424, egli decise, in tutta segretezza, di abbandonare il ducato per giungere a Venezia il 23 febbraio del 1425.
Accettò quindi dalla Serenissima una condotta di 300 lance e sottoscrisse l'alleanza antiviscontea stretta tra Venezia e Firenze nel febbraio del 1426, nella quale venne nominato capitano generale degli eserciti veneziani.
La campagna miliare del 1426-27 si svolse tra Brescia, il bresciano e Cremona.
Dopo alcune scaramucce dall'esito incerto e la sconfitta subita a Casalmaggiore in aprile, l'11 ottobre 1427, a Maclodio, il Carmagnola inflisse una pesante sconfitta all'esercito lombardo, probabilmente la più bella (sicuramente la più famosa) della sua carriera, la quale diede nuova speranza a Venezia di poter ampliare ulteriormente il proprio stato, penetrando più a fondo i confini del ducato Visconteo.
La pace che seguì poco dopo questi scontri (pace di Ferrara 19 aprile 1428) sancì un periodo di pace tra le parti, periodo in cui però i sospetti sulla lealtà di Francesco crebbero in seno al Senato veneziano; tali sospetti si fondavano su vari motivi: la richiesta del Visconti che egli facesse da mediatore tra le parti per la stipula della pace, la tendenza a evitare lo scontro che caratterizzò la campagna del 1426-27, il desiderio espresso dal Carmagnola (nonostante gli innumerevoli titoli, terre e feudi donatigli da Venezia) di non rinnovare la propria condotta, le pressanti lettere del Visconti tradisse Venezia e tornasse al suo servizio.
Nonostante ciò fu comunque riconfermato capitano generale nella nuova campagna milanese della lega veneto-fiorentina, iniziata nel 1431.
Questa nuova campagna si svolse tra deboli vittorie e palesi sconfitte (Soncino) delle truppe venete e nella sostanziale immobilità del Carmagnola, il quale stentava ad attaccare le truppe milanesi guidate da Francesco Sforza e del Piccinino e si opponeva alle decisioni dei provveditori in campo.
L'irritazione e la disapprovazione del Senato veneziano crebbero a tal punto da decidere, nel marzo del 1432, di richiamarlo a Venezia.
Il Consiglio dei Dieci assieme a una giunta di 20 patrizi, istituì un processo contro Francesco (i cui atti non ci sono giunti) e ne deliberò, dopo l'arresto e la tortura, la morte.
Il 5 maggio tra le colonne di piazza San Marco, vestito di panno scarlatto e con un batacchio in bocca, in tre colpi gli fu tagliata la testa.

Meriti militari e notizie generiche

Nonostante le vittorie di Arbedo e Maclodio lo abbiano consacrato come uno dei più valenti condottieri del XV secolo, ben poco si sa realmente delle tecniche militari del Carmagnola.
Sicura è però la ferrea disciplina che imponeva ai soldati e la preferenza (specialmente nelle campagne del 1417-18) per le colonne poco numerose di uomini ben addestrati, le quali permettevano una certa velocità di movimento. Generalmente dava prova di grande serietà professionale e di inflessibile crudeltà, anche se non è sicuro se le sue vittorie derivassero dal suo stesso genio militare o dai consigli di Filippo Maria Visconti.
Di temperamento irascibile e di indubbio coraggio aveva spiccate doti naturali di condottiero, di capo severo e di organizzatore efficiente, ma non sembra che egli abbia contribuito alla formazione di una scuola o allo sviluppo di nuove tecniche.
A prova di ciò stanno le deboli vittorie ottenute dopo la dipartita dal servizio milanese e il conseguente declino delle sue doti di condottiero.
Inoltre la riluttanza ad impegnare a fondo le proprie truppe nelle campagne del 1427 e del 1431 derivò anche dal doversi scontrare con gli eserciti guidati da Francesco Sforza (il quale, insieme a Braccio da Montone, aveva sviluppato sistemi tattici differenti dalla formazione che lo stesso Carmagnola aveva avuto al servizio di Facino Cane nei primi anni del XV secolo).
Le vittorie di Arbedo e Maclodio, infine, furono ottenute dalla concentrazione di forze preponderanti dispiegate su un terreno accuratamente scelto, piuttosto che da genio o talento militare puro.
La sua prudenza, che insisteva sul fattore della superiorità schiacciante delle forze, contribuì la rigonfiamento dell'esercito veneziano in quegli anni (il quale fu stimato in 22.000 cavalli, 8.000 fanti e 6.000 uomini della milizia).